Io e la maestra Sara giochiamo. Nella sua stanza ha tanti giochi: la fattoria, gli animali della foresta, i dinosauri, la casa e la famiglia.

Ieri, dopo aver giocato, la maestra Sara mi ha chiesto di fare un disegno, ed io ho disegnato un grande sole e tante stelle.

Il sole lo disegno tanto. Perché a me piace il suo colore, giallo, caldo e allegro. Ho preso le matite e ho trovato un bel giallo forte, il mio sole era tutto acceso, tutta luce gialla. Ma oltre alle matite colorate, la maestra Sara ha tanti pennarelli, e proprio quelli sono i miei preferiti. Hanno la punta grossa e faccio presto a riempire tutto il tondo.

Ieri, nei pennarelli, c’erano altri gialli che non avevo mai visto prima. Questi gialli sono speciali perchè fanno un giallo fortissimo, Sara dice che sono fluo, che si vedono di notte, che se lo guardi nel buio resta la luce.

Volevo quel giallo, volevo portarlo a casa e continuare a colorare il sole con tanti raggi.

Sara ha detto che non potevo. Non si possono portare a casa i colori della sua stanza. E’ una regola. E’ così. I giochi stanno qui, i colori pure. Li rivedrò la prossima settimana, al prossimo incontro, quando giocheremo dinuovo.

E’ cattiva Sara? o sono io cattivo? Non ci volevo più andare dalla maestra Sara. Io le avevo portato il mio Rino, e abbiamo giocato con Rino perché io posso portare i miei giochi da Sara. Per questo pensavo che anche Sara mi avrebbe lasciato i suoi.

Le maestre, non le capisco tanto. A volte sono brave, a volte sono troppo serie, mi fanno tante domande, anche stupide. Lo sanno tutti che Rino è un rinoceronte, ma Rino ha una gamba più corta dietro, allora ha bisogno di me, io lo porto sempre con me perchè da solo fa fatica. Con me sta bene.

L’altro giorno la maestra Sara mi ha detto che potevo finire il disegno del sole e non solo, che potevo anche portarmi a casa il pennarello fluo. Mi ha detto che ha sbagliato e che potevo tenere il giallo per fare tanti altri disegni, tanti altri soli e stelle.

Lei non lo sa che io ho chiesto a mamma di comprarmi un’intera scatola di pennarelli fluo e penso che non glielo dirò che ora ne ho più di lei.

Sara mi sembra strana, è brava ma non sempre. Oggi mi dice che ha sbagliato e che d’ora in poi potrò tenere con me anche i giochi della stanza. Non tutti, uno o due, posso scegliere.

Vuole fare pace. Oggi disegnerò la pace, con un grande cuore fluo, fucsia perché il rosso non è così bello.

Ciao Maestra Sara, alla prossima settimana.

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Dottore, sono come il carrello del Lidl

Carrelli del Lidl

Ho sentito bene? Mi ripete? Cosa significa “sono come il carrello del Lidl”?

La paziente, che da anni soffre di una forma di ansia generalizzata e attacchi di panico, mi spiega: “i carrelli del Lidl non si possono movimentare oltre l’area di parcheggio del supermercato. Se si tenta di allontanarlo dall’area circostante il punto vendita, si blocca, non si sposta più. Glielo dico perché mi sono trovata con il carrello pieno della spesa e l’auto troppo lontana, e ho faticato a caricare tutto sul mio mezzo”.

Ok – dico – e lei cosa c’entra?

“Io c’entro nel senso che l’idea di allontanarmi troppo da casa, dalla mia zona di sicurezza, di confort, mi blocca. In me insorge l’evitamento, la paura di una crisi, di non farcela. È stato il mio compagno a farmi questa immagine, di me che ho dentro un “dispositivo che mi impedisce di affrontare spazi nuovi, che il mio cervello pensa troppo ‘lontani o pericolosi’.”

I tedeschi del Lidl hanno creato una sicurezza che impedisce di disperdere nell’ambiente i propri carrelli. L’ansia crea un sistema mentale di iperprotezione, mostrandoci la realtà in una veste catastrofica.

Diversamente da un carrello, l’essere umano necessita però di esplorare ambienti diversi, affrontare il nuovo, l’insolito, i nuovi spazi e percorsi che la nostra quotidianità ci chiede di conoscere e sostenere.

Sarà un lavoro in profondità, dentro se stessi, ma ne vale la pena. Meno ‘tedeschi”, più creativi, all’italiana.

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Salute fisica, salute psicologica

La psicosomatica è quella branca della medicina e della psicologia clinica che indaga sul malessere del corpo per scoprirne la possibile eziologia di tipo psicologico. La disciplina parte dall’assunto di base secondo cui mente e corpo costituiscono una diade inscindibile.
Il modello “popolare” della psicosomatica suggerisce che qualcosa che accade nella “mente” si possa ripercuotere sul “corpo”, finendo per riproporre un dualismo sostenibile soltanto in termini metafisici; ne consegue una distinzione netta tra malattie “psicosomatiche” ed altre di origine esclusivamente organica. Tale distinzione, da un lato esclude la maggiore parte della patologia somatica dall’intervento psicologico, dall’altro finisce per sostenere la possibilità di ottenere risultati terapeutici in alcune malattie con un intervento solo psicologico, con risultati deludenti.

Il medico specializzato di solito diagnostica la presenza di una malattia psicosomatica quando ai sintomi e al malessere fisico (dolore, cefalea, ecc.) non è collegato il riscontro di una malattia fisica a seguito di esami clinici.
La psicoanalisi rappresenta un tentativo anzitutto di riportare in primo piano l’importanza di fattori emozionali, relazionali, sociali nel determinare la salute e la patologia dell’essere umano. Si può collocare l’esordio di questa proposta nell’opera di Freud, che andò ad occuparsi proprio di quei fenomeni fisici, detti isterici, che non corrispondevano ad alcuna alterazione anatomo-patologica e risultavano quindi negletti dalla medicina.

La condizione di salute/malattia accoglie la portata eziologica della qualità emotivo-affettiva dei legami significativi, nell’età evolutiva e in ogni ciclo di vita dell’individuo.
Carenze nelle relazioni primarie possono avere effetti a lunga distanza sulla maturazione dei sistemi fisiologici e quindi sulla suscettibilità a malattie somatiche.
Ad esempio, secondo lo psichiatra e psicoanalista James Grotstein (1997) il concetto di regolazione affettiva e fisiologica è alla base della salute e della patologia: una carenza di contenimento, di sintonizzazione, di un disturbo nelle relazioni primarie farebbe sì che l’emozione rimanga ad uno stato estremamente primitivo. Una condizione clinica di alessitimia, ovvero una scarsa capacità di riconoscere ed esprimere emozioni, soprattutto nella dimensione cognitivo/esperienziale e interpersonale, è poi correlata a livelli elevati di attivazione simpatica (quella parte del sistema nervoso autonomo con funzioni di reazione attacco/fuga mediata dai neurotrasmettitori acetilcolina e noradrenalina) e ad un più elevato rischio di sviluppare patologie neoplasiche.

Coerentemente a questa visione più olistica dell’uomo, negli ultimi decenni la ricerca scientifica connessa con la psicosomatica si è concentrata sulla psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI): una nuova materia di studio che è riuscita a collegare il disagio psicologico dell’

Consideriamo, inoltre, come e quanto gli effetti della condizione relazionale traumatica, la situazione di vita del soggetto stressato – cui il soggetto stesso dà ovviamente il suo contributo e che sperimenta secondo le proprie caratteristiche – possano innescare una reazione nell’organismo che a livello della coscienza registriamo ad esempio come ansia, attacchi di panico, a livello fisiologico come aumento di adrenalina (di cortisolo ecc.). L’attivazione del sistema immunitario può esercitare effetti a livello del sistema nervoso centrale e viceversa.
Come in un sistema cibernetico autoregolantesi, composto di diversi sottosistemi interagenti, una perturbazione del sottosistema “sistema nervoso centrale” (substrato della vita mentale avente come effettore finale l’ipotalamo) può comportare una perturbazione del sottosistema “sistema immunitario”, collegato al primo attraverso un’ampia serie di vie (asse ipotalamo-ipofisi-corticale del surrene; asse ipotalamo-sistema nervoso autonomo-midollare del surrene; neuropeptidi).
Non solo le condizioni sociali esterne possono creare una reazione fisiologica abnorme. La considerazione di sé, del proprio io sociale, della propria alta o bassa autostima, per esempio, sono correlati con una sensibilità e percezione del dolore fisico più o meno elevate. Lo stile di vita, il vissuto di uno scarso benessere, bassa qualità della vita e deterioramento delle prestazioni lavorative e sociali possono creare sintomi depressivi ben più che l’intensità e persistenza del dolore cronico, alimentando una sofferenza soggettiva che rappresenta la parte psicologica di sindromi croniche quali fibromialgia ecc.
La lettura dei fenomeni clinici in chiave psicosomatica prima, in termini PNEI e bio-psico-sociali ora, correla il medico allo psicologo-psicoterapeuta in un lavoro integrato di diagnosi congiunta.
La presenza di servizi territoriali, di ambulatori in cui medici di medicina generale e psicologi di cure primarie sono disponibili e compresenti, si confrontano su situazioni di vita e di relazione che si esprimono in sintomi fisici nei loro pazienti, potrà favorire un salto di qualità nella clinica del domani.


Bibliografia di psicologia di cure primarie

  • GROTSTEIN, J.S., (1997a), ‘Mens Sana in Corpore Sano’. The mind and the body as an ‘odd couple’ and as an oddly coupled unity”. Tr.it. In Ricerca Psicoanalitica, 2002, 13, pp.255-274.
  • SOLANO, L., (2013) Tra mente e corpo, Milano, Cortina Ed.
  • SOLANO, L. (2015). A partire dall’unità corpo/mente. Relazione presentata al Centro Milanese di Psicoanalisi. 23 Ott 2015

Pubblicato in originale su https://sipcp.it/salute-fisica-e-salute-psicologica-psicosomatica/

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La Madonna della differenziata

La Madonna sull’aiuola

È tornata. È lì. Come tutti gli anni. A maggio. Dobbiamo fare attenzione, perché a volte è nel parcheggio, tra un’auto e l’altra, e proprio non te l’aspetti che sia lì. A volte è a fianco di un bidone della differenziata, e ti sembra abbandonata, un rifiuto ingombrante, che la cantina ha impolverato e ingrigito per un anno. Ma oggi era lì, davanti al Lidl. Che se uscivi dal supermercato carico di borse, te la trovavi di fronte. Appesantiti e curvi, viene difficile fare il segno della croce, rischi di perdere a terra dei pezzi, rischi di imprecare, di stringere tra i denti una bestemmia.

Ma lei è una Madonna di strada, non bada alle nostre miserie. La sera le dicono un rosario, le lanciano petali di rose, qualcuno le bacia i piedi. Poi la spostano, 50mt più in là, all’altro ingresso del palazzo. Ogni sera così. E la mattina te la ritrovi vicino ad altri bidoni, ad altre auto, parcheggiata pure lei, nello spazio rettangolare che ha trovato libero (fortunella) la sera prima. In una settimana ha compiuto tutte le sue tappe, il giro completo del condominio, e può tornare da dove è venuta.

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L’amore suburbano

Alla fermata

Alla fermata del bus sotto casa c’è la palina e una panca, coperta da una struttura in ferro e plastica. Proprio sopra la panca c’è la pubblicità delle pompe funebri.

Di fronte alla panchina uno stradone dove le auto sfrecciano, e rallentano solo per gestire una maxi-rotonda a doppia corsia.

Di fronte, oltre allo stradone, gli ambulatori dell’Asl, dove dalle 7, ogni giorno, bisogna mettersi all’aperto in coda, per gli esami del sangue.

Anziani, giovani, disabili e abili, entrano ed escono in un viavai incessante, cercando di attraversare in semisicurezza lo stradone trafficato, cercando di prendere il bus senza rischiare collusioni, inciampi, rasette e strombazzamenti.

Poco lontano ci sono due scuole, due istituti superiori, che fanno della fermata del 35 una fermata multigenerazionale (e anche multietnica).

Gli studenti, ogni mattina, incrociano i pazienti. Così da sempre, da quel che ricordo, in un angolo di periferia che non ha altri motivi per venirci.

Potremmo dire che le emozioni non si sprecano, anzi.

Eppure, in questo scenario desolante, alla fermata del bus, sotto la scritta delle pompe funebri, sopra la panchina, legato (per sempre?) ad un semicerchio di ferro, è comparso un lucchetto, segnato “M+D” e un cuoricino.

Si. È proprio uno di quei lucchetti che vedi sui ponti famosi, sui luoghi panoramici.

Me lo sarei aspettato al Monte dei cappuccini, mentre guardi Torino di notte. Me lo sarei atteso al ponte sul Po, in centro, oppure ai Murazzi, meta di divagazioni romantiche, come anche al parco del Valentino.

E invece, fa la sua comparsa in un sobborgo tristanzuolo, che di panoramico ha i cassonetti della differenziata.

È un lucchetto solo. Non so se sarà di ispirazione per altri testimonial d’amore.

Auguri M+D. Vi meritate un amore splendido, anche solo per il sogno che state condividendo. Grazie M+D, da noi pendolari.

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Quando l’arte è più forte della malattia e della morte

Non è un post celebrativo, anche perché non ho mai assistito ad un suo concerto.

La vita di Ezio Bosso è stata segnata, negli ultimi nove anni da una neuropatia degenerativa che ha costretto l’artista, all’inizio di quest’anno ad abbandonare l’esibizione dal vivo. Suonare il pianoforte e condurre l’orchestra richiedevano ormai troppe energie al suo organismo fragile.

Eppure, il suo amore e la sua passione per la musica, così evidenti e contagiosi, lo hanno sostenuto, lo hanno spronato a vivere, incontrare, condividere, partecipare.

E allora possiamo fare l’ipotesi, come ha ben detto la mia amica Laura V. , che Ezio traesse forza e vitalità proprio dalla sua arte, inscindibile dal senso dell’esistenza.

Ezio Bosso era un tutt’uno con la sua musica, e questa le restituiva la resilienza per fronteggiare la malattia cronica.

A differenza di molti altri artisti, consumati dalla musica (penso a Bix Beiderbeck, Amy Winehouse,… ) lui si è rafforzato e ha potuto, con i suoi concerti, rallentare la progressione del male.

Sarebbe fantastico se qualche altra persona con malattia/dolore cronico, suo fan o musicista/artista come lui, potesse ripensarsi nel suo fare arte, come una resistenza di salute, di bellezza salvifica.

Ricorderemo Bosso per la sua empatia e carica umana. Sono certo che ha dato speranza e gioia ad altre anime sensibili, nel corpo e nella mente.

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Ti faccio vedere le stelle

Domani sarà il 10 agosto, un giorno d’estate che ci porta ad immaginare, immancabilmente, la notte delle stelle, la notte di San Lorenzo.

Considerando le condizioni atmosferiche, le condizioni di inquinamento luminoso, dovremo fare attenzione a scegliere bene la location, nonché quest’anno, 2019, quando sarà il momento più propizio.

Dal 10 al 14 agosto infatti potremo ammirare costantemente le famigerate Lacrime di San Lorenzo e il picco è atteso nella notte tra il 12 e il 13 agosto intorno alle ore 22.

Quindi possiamo fare i nostri inviti, “ti invito a guardare le stelle con me”.

Che romanticismo, dopo tanta organizzazione, dissimulata per lasciar intendere un moto dell’animo che è pura emozione e impulso.

Attenzione anche a non scadere in frasi ambigue, del tipo “ti faccio vedere le stelle”, che più che una proposta affettuosa ha più il sapore del dolore, del carico da 90 che sto per mollarti.

Assieme a “ti faccio vedere i sorci verdi”, la frase “ti faccio vedere le stelle” mi ha sempre suggestionato.

Sembra che uno dei modi di dire più comuni in italiano, quello di dire che si vedono le stelle per significare che ci si è fatti male fisicamente, derivi da un fatto fisico legato per l’appunto al dolore.

Vedere le stelle è quindi sinonimo di provare un dolore molto forte, lancinante, intenso e infatti questo modo di dire viene usato in frasi del tipo ‘ho provato un dolore da vedere le stelle’, ‘ho visto le stelle quando mi sono fatto male’ e così via.

Insomma, il vedere le stelle, usato nel contesto e col significato appena descritto, sembrerebbe derivare dal fatto che quando si prova un dolore fisico molto intenso la risposta probabile possa essere la lacrimazione che, inumidendo gli occhi, porta a vedere la luce come delle stelle.

Confermate?

When you wish upon a star…..

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Presenze

Ecco è piacevole sedersi ad un dehor sotto i vecchi portici del corso, quando Torino si svuota per la calura di agosto.

Anche i tavolini sono deserti, sono l’unico ospite. Unico non direi.

Qualcosa va diversamente.

Ci sono dei fogli di stagnola, quasi ad ogni angolo, sulle sedie, pinzati sui tavolini, svolazzanti e luccicanti come a metallizzare le superfici.

Non sono decorazioni, sono “disperazioni”, servono ad allontanare i piccioni.

La cameriera fa in tempo a posare il mio caffè e un movimento scattoso ma deciso mi rivela lui, il piccione, a due metri non di più.

Non è altro che un primo passo, un avvicinamento inesorabile che lo fa planare sul sedile della sedia di fronte.

Siamo a quattrocchi, come se ci fossimo dati appuntamento assieme per un break.

Per un istante mi sovviene un’immagine catastrofica, laddove gli uomini vacano, le bestie sopraggiungono.

Avanzano, occupano, invadono, possiedono.

Come nel film di Hitchcock, gli uccelli si riprendono la città, popolano gli spazi vuoti, abbandonati dai torinesi.

E così i gatti randagi, i cani sperduti, le nutrie, e tutte le altre bestie neglette, cacciate ma mai eliminate.

Vengono ad animare le strade, i vicoli, il centro e la periferia, le case e i negozi chiusi.

Ci serve una carta stagnola? Non so…

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Oggi lavoriamo sulla cronicità

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Caricamento…LIBROTERAPIALASCIA UN COMMENTOAnniversariLetteratura

I baci scritti non arrivano a destinazione

“E’ già tanto tempo che non le scrivo, signora Milena, e anche oggi Le scrivo soltanto per caso. Veramente non dovrei neanche scusarmi se non scrivo, Lei sa come odio le lettere. Tutta l’infelicità della mia vita – e con ciò non voglio lagnarmi, ma soltanto fare una costatazione universalmente istruttiva – proviene, se vogliamo, dalle lettere o dalla possibilità di scrivere lettere. Gli uomini non mi hanno forse mai ingannato, le lettere invece sempre, e precisamente non quelle altrui, ma le mie. Nel caso mio si tratta di una disgrazia particolare, della quale non voglio dire altro, ma nello stesso tempo anche di una disgrazia generale.

La facilità di scrivere lettere – considerata puramente in teoria – deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. E’ infatti un contatto fra fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario, ma anche col proprio che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo, o magari in una successione di lettere, dove l’una conferma l’altra e ad essa può appellarsi per testimonianza. Come sarà nata mai l’idea che gli uomini possano mettersi in contatto fra loro attraverso le lettere?
A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane. Scrivere lettere significa però denudarsi davanti ai fantasmi che ciò attendono avidamente. Baci scritti non arrivano a destinazione, ma vengono bevuti dai fantasmi lungo il tragitto. Con così abbondante alimento questi si moltiplicano in modo inaudito. L’umanità lo sente e li combatte; […]
D’altro canto “essi” si possono riconoscere anche dalle eccezioni, talvolta infatti lasciano passare una lettera senza ostacoli e questa arriva come una mano amichevole che buona e leggera si posa nella nostra. Ebbene, anche ciò è probabilmente soltanto apparenza e questi casi sono forse i più pericolosi, casi dai quali dobbiamo guardarci più che dagli altri, ma se è un’illusione essa è in ogni caso perfetta.”

Franz Kafka – Lettere a Milena

3 giugno 2019 (95 anni dalla morte di Kafka)

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Cose spiegate bene. Le droghe, in sostanza

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Il Maestro e Margherita

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Di troppo amore. Fuori dal labirinto della dipendenza affettiva

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